Nei giorni scorsi abbiamo avuto un po' di movimento in piazza.
La difesa della Costituzione, quella del lavoro e dei beni comuni sono tre segmenti che devono essere unificati dal cardine comune della sovranità popolare (che non è una parolaccia ma un altro modo di dire democrazia).
La Costituzione viene snaturata dai trattati europei che non perseguono la piena occupazione ma la bassa inflazione; il lavoro è sotto attacco perché se aumentano i disoccupati diminuiscono i salari, aumentano i profitti e diminuisce l'inflazione; i beni comuni vanno privatizzati perché sono occasione di guadagno per il capitale privato, come prescrive il governo europeo autoreferenziale.
E' evidente anche a un fascista che il nemico è QUESTA Europa, e infatti le destre stanno galoppando; mi chiedo quando sarà evidente anche alle sinistre: loro credono di avere i voti popolari per sempre, perse all'inseguimento dell'internazionalismo proletario quando quello sin qui realizzato e l'internazionalismo finanziario.
Non hanno capito che gli strumenti di contrasto dell'ultraliberismo sono nazionali (Costituzioni, parlamenti, sindacati, movimenti) e invece di combattere qui si trastullano con in'idea di Europa che hanno solo loro.
Una vecchia canzone di De André chiedeva: -com'è che non riesci più a volare.- il suo protagonista si era spento nell'abitudine della quotidianità.
lunedì 21 ottobre 2013
sabato 19 ottobre 2013
Par condicio.
Comincia timidamente a sussurrare, a sinistra, il dibattito sull'uscita dall'euro.
A destra è un fiume in piena in Francia; un torrentello in Germania; una fogna in Grecia; da noi è un meandro.
La sinistra all'estero ne parla da mesi o anni, per esempio, in Germania Lafontaine, in Francia Sapir, gente di spessore; da noi qualche professore intollerante alle panzane, affetto da sincerità patologica e indifferente alla convenienza (economica) personale.
Cari politici (mi vien da ridere) sembrerebbe una consolatoria par condicio: se ne parla di qua, se ne parla di la; uscire da destra, uscire da sinistra, far pagare l'operazione ai privilegiati ed alle loro banche o farla pagare ai succubi col reddito fisso o senza reddito. Sembra diciate "ci stiamo ragionando".
Il fatto è che finché se ne parla e basta gli effetti perversi dell'euro li pagano i soliti nel solito modo: salari che calano, disoccupazione che aumenta, giovani senza futuro, aziende in crisi; senza contare i tagli ai servizi sociali e pubblici.
Aspettare Godot non è la risposta ma l'agonia.
Ma vi ricorderemo nelle nostre invocazioni...
A destra è un fiume in piena in Francia; un torrentello in Germania; una fogna in Grecia; da noi è un meandro.
La sinistra all'estero ne parla da mesi o anni, per esempio, in Germania Lafontaine, in Francia Sapir, gente di spessore; da noi qualche professore intollerante alle panzane, affetto da sincerità patologica e indifferente alla convenienza (economica) personale.
Cari politici (mi vien da ridere) sembrerebbe una consolatoria par condicio: se ne parla di qua, se ne parla di la; uscire da destra, uscire da sinistra, far pagare l'operazione ai privilegiati ed alle loro banche o farla pagare ai succubi col reddito fisso o senza reddito. Sembra diciate "ci stiamo ragionando".
Il fatto è che finché se ne parla e basta gli effetti perversi dell'euro li pagano i soliti nel solito modo: salari che calano, disoccupazione che aumenta, giovani senza futuro, aziende in crisi; senza contare i tagli ai servizi sociali e pubblici.
Aspettare Godot non è la risposta ma l'agonia.
Ma vi ricorderemo nelle nostre invocazioni...
domenica 13 ottobre 2013
Lettera aperta ai reduci di Roma 12-10-2013
Cari tutti,
oggi, vedendo le foto e leggendo i resoconti degli interventi, mi permetto qualche considerazione non autorizzata (non c'ero e chi non c'è ha sempre torto).
La coalizzazione sociale dei vincenti è un bello slogan, rispecchia anche una parte di verità (referendum acqua) ma è teoria: la vittoria in quel caso è stata simbolica e affossata con metodi surrettizi da chi ci governa per conto d'altri.
La difesa della Costituzione è un'estrema trincea, quasi un ritorno ab ovo, della vita democratica di questo Paese, ma non basta: la Carta non è uno strumento formidabile, è solo la registrazione del momento più alto della civiltà politica nazionale; da quando esiste è stata oggetto di forzature striscianti e omissioni bipartisan, certamente accentuatesi nel recente passato. Da quando?
Da quando le regole della civile convivenza sono state sottratte al "contratto sociale" fra cittadini per essere, direi proditoriamente, attribuite ad un'entità superiore e sfuggente: il mercato. Perché proditoriamente? Perché i passi necessari a questo slittamento sono stati felpati e progressivi ma non decisi dalla base elettorale. E' stato un percorso coerente di svuotamento dei meccanismi democratici a vantaggio della visione "aziendale" dello stato: pura contabilità finanziaria a danno dell'interesse sociale. Tanto poi, quando la misura è colma, i guadagni sono stati fatti e, anche se si contano distruzioni e lutti, le ricostruzioni sono PIL.
E la Costituzione? In questo quadro è la vittima, non il baluardo. Se vogliamo invertire il percorso la dobbiamo tenere come riferimento ma il motore dev'essere un altro. Antecedente temporalmente e logicamente.
Il motore dev'essere la riconquista della sovranità popolare (alias democrazia) sui temi economici e sociali, non perché lo afferma la Carta, e basterebbe, ma perché è disumano che l'essere umano conti meno dello spread, che sanità e scuola siano merci, che chi produce lo faccia nell'assenza di un progetto nazionale condiviso, che l'informazione sia veleno.
Dobbiamo ripercorrere a ritroso la strada sin qui fatta, individuare i passi falsi, per noi, e correggerli: verificare, con l'esperienza maturata nell'ultimo quindicennio in Eurozona ma da decenni nella letteratura scientifica economica, la bontà delle decisioni prese; individuare i responsabili della sottrazione di capacità decisionale degli organismi elettivi e allontanarli; rielaborare una politica economica funzionale al benessere sociale, in armonia coi Paesi vicini ma in autonomia.
Quindi ben venga la comune trincea costituzionale, ma il programma è molto più ambizioso.
oggi, vedendo le foto e leggendo i resoconti degli interventi, mi permetto qualche considerazione non autorizzata (non c'ero e chi non c'è ha sempre torto).
La coalizzazione sociale dei vincenti è un bello slogan, rispecchia anche una parte di verità (referendum acqua) ma è teoria: la vittoria in quel caso è stata simbolica e affossata con metodi surrettizi da chi ci governa per conto d'altri.
La difesa della Costituzione è un'estrema trincea, quasi un ritorno ab ovo, della vita democratica di questo Paese, ma non basta: la Carta non è uno strumento formidabile, è solo la registrazione del momento più alto della civiltà politica nazionale; da quando esiste è stata oggetto di forzature striscianti e omissioni bipartisan, certamente accentuatesi nel recente passato. Da quando?
Da quando le regole della civile convivenza sono state sottratte al "contratto sociale" fra cittadini per essere, direi proditoriamente, attribuite ad un'entità superiore e sfuggente: il mercato. Perché proditoriamente? Perché i passi necessari a questo slittamento sono stati felpati e progressivi ma non decisi dalla base elettorale. E' stato un percorso coerente di svuotamento dei meccanismi democratici a vantaggio della visione "aziendale" dello stato: pura contabilità finanziaria a danno dell'interesse sociale. Tanto poi, quando la misura è colma, i guadagni sono stati fatti e, anche se si contano distruzioni e lutti, le ricostruzioni sono PIL.
E la Costituzione? In questo quadro è la vittima, non il baluardo. Se vogliamo invertire il percorso la dobbiamo tenere come riferimento ma il motore dev'essere un altro. Antecedente temporalmente e logicamente.
Il motore dev'essere la riconquista della sovranità popolare (alias democrazia) sui temi economici e sociali, non perché lo afferma la Carta, e basterebbe, ma perché è disumano che l'essere umano conti meno dello spread, che sanità e scuola siano merci, che chi produce lo faccia nell'assenza di un progetto nazionale condiviso, che l'informazione sia veleno.
Dobbiamo ripercorrere a ritroso la strada sin qui fatta, individuare i passi falsi, per noi, e correggerli: verificare, con l'esperienza maturata nell'ultimo quindicennio in Eurozona ma da decenni nella letteratura scientifica economica, la bontà delle decisioni prese; individuare i responsabili della sottrazione di capacità decisionale degli organismi elettivi e allontanarli; rielaborare una politica economica funzionale al benessere sociale, in armonia coi Paesi vicini ma in autonomia.
Quindi ben venga la comune trincea costituzionale, ma il programma è molto più ambizioso.
mercoledì 2 ottobre 2013
Lettera ad un presidente rinato.
Caro Giorgio, ti chiamo così perché potresti essere il mio babbo, ed è un complimento.
Nel lontano 1978, il 13 dicembre, facesti alla Camera, come dichiarazione di voto del tuo partito di allora, il PCI, un discorso chiaro e profetico sui danni che il Sistema Monetario Europeo (SME) avrebbe arrecato all'Italia. Le previsioni negative si sono realizzate, in peggio, con l'euro.
Capisco che da allora tante cose sono cambiate: è finita la guerra fredda col suo corollario di terrorismo (non ho mai creduto che le bombe da piazza Fontana a Bologna le abbiano volute solo dei mentecatti criminali fascisti); è caduta l'URSS lasciando il tuo partito orfano; c'è stata mani pulite con l'opportunità di ereditare un sistema paese da una classe screditata ma attenta agli interessi nazionali (o forse screditata PERCHE' attenta).
Oggi sei il deus ex machina di questa sgangherata e marcescente Italia, hai come unico obbiettivo il permanere, ad ogni costo, nel sistema di patti leonini che ci strangola e asservisce, quasi che al di fuori dell'Eurozona ci sia il nulla.
Fuori ci sono l'Inghilterra, la Svezia, la Polonia, la Svizzera, solo per citare quattro Paesi che sono molto diversi fra di loro ma che stanno meglio di noi, Fuori ci sono Paesi sovrani come il Giappone che pur con debito pubblico imponente non conoscono il nostro tasso di disoccupazione (o forse non lo conoscono PERCHE' ce l'hanno).
Quindi mi domando, come Totò in una famosa
gag, vediamo dove vuoi arrivare, la differenza è che tu stai sacrificando gli italiani ed io sono italiano.
Caro Giorgio, ti chiamo così perché potresti essere il mio babbo, ed è un complimento.
Nel lontano 1978, il 13 dicembre, facesti alla Camera, come dichiarazione di voto del tuo partito di allora, il PCI, un discorso chiaro e profetico sui danni che il Sistema Monetario Europeo (SME) avrebbe arrecato all'Italia. Le previsioni negative si sono realizzate, in peggio, con l'euro.
Capisco che da allora tante cose sono cambiate: è finita la guerra fredda col suo corollario di terrorismo (non ho mai creduto che le bombe da piazza Fontana a Bologna le abbiano volute solo dei mentecatti criminali fascisti); è caduta l'URSS lasciando il tuo partito orfano; c'è stata mani pulite con l'opportunità di ereditare un sistema paese da una classe screditata ma attenta agli interessi nazionali (o forse screditata PERCHE' attenta).
Oggi sei il deus ex machina di questa sgangherata e marcescente Italia, hai come unico obbiettivo il permanere, ad ogni costo, nel sistema di patti leonini che ci strangola e asservisce, quasi che al di fuori dell'Eurozona ci sia il nulla.
Fuori ci sono l'Inghilterra, la Svezia, la Polonia, la Svizzera, solo per citare quattro Paesi che sono molto diversi fra di loro ma che stanno meglio di noi, Fuori ci sono Paesi sovrani come il Giappone che pur con debito pubblico imponente non conoscono il nostro tasso di disoccupazione (o forse non lo conoscono PERCHE' ce l'hanno).
Quindi mi domando, come Totò in una famosa
martedì 1 ottobre 2013
La solitudine della moltitudine.
Sono solo, e con me sono soli milioni di italiani. Soli davanti ad un futuro estinto.
Viviamo una vita postuma.
I partiti eredi delle gloriose tradizioni dimenticate si arrabattano spacciando per decisioni strategiche patetiche furbate per tirare domani.
Il PDL, guidato da un pregiudicato che non vuole rinunciare nemmeno al titolo di cavaliere, che non gli spetterebbe più, mostra senza imbarazzo le sue rumorose peristalsi: il boss, perso l'onore non vuole rinunciare al potere, gli accoliti, quasi orfani, oscillano fra l'affidamento e il riformatorio. Eppure l'ex cav. qualcosa di buono nella sua animalesca visione della società l'ha fatta: si è accorto, all'avanguardia fra i politici, che la crisi non passa se non cambia l'Eurozona, che l'aumento delle tasse per soddisfare i diktat francofortesi sono il piombo nelle ali dell'economia nazionale, e per questo ha pagato con il siluro del 2011. Colpito e affondato, ma si sa certi oggetti galleggiano...
Il M5* sta ancora crescendo, è ai denti da latte, noi aspettiamo pazienti che mettano quelli del giudizio, il Paese ha meno tempo; hanno ragione da vendere non volendosi mischiare con le mosche cocchiere della politica, ma chi non fa, non falla; i suoi elettori sono pieni di rabbia e di indignazione, il problema è trasformare tutto ciò in un progetto stabile, non in proclami truci che cambiano obbiettivo ogni giorno.
Il PD, oltre che un acronimo blasfemo, è il nulla. In trent'anni è riuscito a dilapidare il capitale affidatogli da milioni di cittadini di sinistra, alcuni dei quali ancora oggi si ostinano a crederlo un partito di sinistra, è passato attraverso abiure e fusioni fredde al solo fine di continuare ad occupare l'emiciclo e le ex municipalizzate, prima in nome dei soviet, ora della BCE. Nessun progetto, nessun coraggio, nessuna fantasia. Solo immobile tensione, mi ricorda un coniglio davanti a un crotalo, che parla tedesco.
Io e gli altri milioni a chi dovremmo affidarci? Ai tre sfigati qui sopra? A continui e sistematicamente abortiti progetti "progressisti"? Appesantiti da un personale politico usurato se non compromesso, e poi per fare cosa? La maggior parte dei leader, chiamiamoli così, non ha idea del perché la crisi si avvita, molti cercano le risposte rivisitando le liturgie di un secolo e mezzo fa. Le soluzioni individuali e violente non contano, almeno finché restano individuali.
Aspettiamo che la casa finisca di bruciare al rallentatore, un'idea di come ricostruirla, io e qualche altro milione di italiani, ce l'avremmo, ma siamo bloccati da quest'ingorgo istituzional-affaristico-giudiziario.
Non volendo sperare in un Napoleone, non sia mai che ci porti a estinguerci nella steppa, ci auguriamo almeno un Sansone.
Calata la polvere potremo ricominciare (come abbiamo sempre fatto).
Viviamo una vita postuma.
I partiti eredi delle gloriose tradizioni dimenticate si arrabattano spacciando per decisioni strategiche patetiche furbate per tirare domani.
Il PDL, guidato da un pregiudicato che non vuole rinunciare nemmeno al titolo di cavaliere, che non gli spetterebbe più, mostra senza imbarazzo le sue rumorose peristalsi: il boss, perso l'onore non vuole rinunciare al potere, gli accoliti, quasi orfani, oscillano fra l'affidamento e il riformatorio. Eppure l'ex cav. qualcosa di buono nella sua animalesca visione della società l'ha fatta: si è accorto, all'avanguardia fra i politici, che la crisi non passa se non cambia l'Eurozona, che l'aumento delle tasse per soddisfare i diktat francofortesi sono il piombo nelle ali dell'economia nazionale, e per questo ha pagato con il siluro del 2011. Colpito e affondato, ma si sa certi oggetti galleggiano...
Il M5* sta ancora crescendo, è ai denti da latte, noi aspettiamo pazienti che mettano quelli del giudizio, il Paese ha meno tempo; hanno ragione da vendere non volendosi mischiare con le mosche cocchiere della politica, ma chi non fa, non falla; i suoi elettori sono pieni di rabbia e di indignazione, il problema è trasformare tutto ciò in un progetto stabile, non in proclami truci che cambiano obbiettivo ogni giorno.
Il PD, oltre che un acronimo blasfemo, è il nulla. In trent'anni è riuscito a dilapidare il capitale affidatogli da milioni di cittadini di sinistra, alcuni dei quali ancora oggi si ostinano a crederlo un partito di sinistra, è passato attraverso abiure e fusioni fredde al solo fine di continuare ad occupare l'emiciclo e le ex municipalizzate, prima in nome dei soviet, ora della BCE. Nessun progetto, nessun coraggio, nessuna fantasia. Solo immobile tensione, mi ricorda un coniglio davanti a un crotalo, che parla tedesco.
Io e gli altri milioni a chi dovremmo affidarci? Ai tre sfigati qui sopra? A continui e sistematicamente abortiti progetti "progressisti"? Appesantiti da un personale politico usurato se non compromesso, e poi per fare cosa? La maggior parte dei leader, chiamiamoli così, non ha idea del perché la crisi si avvita, molti cercano le risposte rivisitando le liturgie di un secolo e mezzo fa. Le soluzioni individuali e violente non contano, almeno finché restano individuali.
Aspettiamo che la casa finisca di bruciare al rallentatore, un'idea di come ricostruirla, io e qualche altro milione di italiani, ce l'avremmo, ma siamo bloccati da quest'ingorgo istituzional-affaristico-giudiziario.
Non volendo sperare in un Napoleone, non sia mai che ci porti a estinguerci nella steppa, ci auguriamo almeno un Sansone.
Calata la polvere potremo ricominciare (come abbiamo sempre fatto).
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