martedì 31 dicembre 2013

EUROPA, QUESTA (MIS)CONOSCIUTA DAL MANIFESTO

  Inverno, cade la neve e le valanghe, anche le braccia.

  L'editoriale del manifesto di oggi non annuncia nessuna primavera degli intenti: avanti sicuri verso la catastrofe, incuranti degli errori del passato (capiti?), sordi ai richiami della realtà, se non della ragionevolezza.

  Ve lo copio.

  LA TEMPESTA ITALIANA, di Norma Rangeri

  "Dalle urne elet­to­rali ai for­coni in piazza. L’anno che sta­sera viene dige­rito con il tra­di­zio­nale cenone può ben essere con­den­sato in que­sto sim­bo­lico testa­coda degli umori e degli avve­ni­menti che hanno coin­volto i cit­ta­dini italiani.Prima il rito demo­cra­tico con annessa spe­ranza di un’alternativa di governo. Poi l’urlo qua­lun­qui­sta del “tutti a casa” rivolto al Par­la­mento, emblema di un sistema inca­pace di rea­gire alla crisi della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva. In mezzo il grande stra­vol­gi­mento del Pd, l’esplosione del vul­cano gril­lino, la deca­denza e la fram­men­ta­zione della coreo­gra­fia berlusconiana.
  
  Pro­ba­bil­mente, giunti al quinto anno della crisi eco­no­mica, sarebbe stato dif­fi­cile rea­liz­zare final­mente un vero cam­bia­mento, cul­tu­rale, poli­tico, eco­no­mico. Ma si è esa­ge­rato in senso con­tra­rio e siamo andati a passi veloci verso situa­zioni senza uscita, al punto di non essere in grado di eleg­gere un pre­si­dente della Repub­blica nuovo e di non tro­vare alter­na­tive al governo di lar­ghe e poi pic­cole intese.Un “indie­tro tutta” gene­rale. Non solo poli­ti­ca­mente. Social­mente è stato ben rias­sunto da una cop­pia di “capi­tani corag­giosi” del sistema indu­striale ita­liano, Mar­chionne e Riva. Con gli ope­rai Fiom con­fi­nati nei reparti Fiat e gli abi­tanti di una città del sud avve­le­nati dal feu­da­ta­rio dell’acciaieria. Due volti del declas­sa­mento nazio­nale, sia verso i diritti dei lavo­ra­tori sia come esem­pio di arre­tra­tezza del nostro modello di sviluppo.

  E poi un indie­tro tutta per il livello dei con­sumi ali­men­tari, un ine­dito e dram­ma­tico elenco di sui­cidi tra i nuovi poveri, una corsa sfre­nata al record di disoc­cu­pa­zione — gio­vani e donne soprat­tutto — un pri­mato asso­luto per il trat­ta­mento disu­mano riser­vato alla popo­la­zione car­ce­ra­ria e alla gente immi­grata e rifu­giata, una ver­go­gnosa e inde­cente eva­sione fiscale, un impo­ve­ri­mento glo­bale delle fami­glie, un ter­ri­to­rio eco­lo­gi­ca­mente deva­stato, un debito pub­blico pesante come un maci­gno, una società fram­men­tata, divisa, egoista…Difficile tro­vare un paese con un meda­gliere così penoso e umiliante.Certo, il cor­rut­tore della poli­tica ita­liana dell’ultimo ven­ten­nio è stato cac­ciato dal Par­la­mento, è fuori dalle isti­tu­zioni, inter­detto dai pub­blici uffici. Ma la sua ere­dità, soprat­tutto quella dei recenti otto anni su dieci, è deva­stante sotto il pro­filo eco­no­mico, poli­tico, sociale. Quanto è avve­nuto tra il 2012 e l’anno che si sta chiu­dendo (mini­stero Monti prima, ele­zioni poi, governo Letta-Alfano ora) non sono che la con­se­guenza di una tragi-commedia che ha come primi respon­sa­bili Ber­lu­sconi e poi i par­titi che hanno gui­dato il paese dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi.
  E’ vero, le piazze, si sono riem­pite di gente che ancora rea­gi­sce al mal­go­verno, che ancora mostra un desi­de­rio di par­te­ci­pa­zione. Anche nelle forme e nei sog­getti nuovi come nella mani­fe­sta­zione del 15 otto­bre. È vero, l’esplosione del gril­li­smo con­tiene in sé ele­menti inte­res­santi e nuovi, che sicu­ra­mente sareb­bero spen­di­bili con mag­gior pro­fitto se non ci fosse un padre-padrone che detta legge e usa il web come una gogna media­tica. È vero, la vit­to­ria a valanga di Renzi dimo­stra che nel Pd c’è un forte desi­de­rio di vol­tar pagina e di man­dare a casa un vec­chio gruppo diri­gente lar­ga­mente, pro­di­to­ria­mente consociativo.Ma è altret­tanto vasta e pro­fonda l’Italia che ha smesso di cre­dere nella pos­si­bi­lità di cam­biare le cose col­let­ti­va­mente e vor­rebbe tanto affi­darsi all’uomo forte capace di togliere di mezzo gli immi­grati che “rubano il lavoro”, di dare mano libera agli impren­di­tori per usare il lavoro come una merce, di riti­rare l’Italia dall’Europa dei ban­chieri. Un insieme di ingre­dienti per ricette che pur­troppo nel Nove­cento ha pro­dotto immani disa­stri. C’è anche que­sto nell’aria men­tre ci avvi­ci­niamo alle ele­zioni europee.

  Sarà un test poli­tico che dirà quanto sono distanti le due sponde del Medi­ter­ra­neo, quanto saranno forti le cor­renti iso­la­zio­ni­ste, sovra­ni­ste, xeno­fobe del vec­chio Con­ti­nente. Un spec­chio che riflet­terà il grande tra­va­glio di quei paesi che le pri­ma­vere arabe ave­vano riac­ceso di movi­menti laici e demo­cra­tici. Il 2013 è stato un lungo inverno di san­gue per gli egi­ziani, per i tuni­sini, l’anno della guerra afri­cana gui­data dal socia­li­sta Hollande.Dicono che que­sta crisi lascia le mace­rie di un dopo­guerra. Di sicuro la nostra demo­cra­zia non gode di buona salute e in tanti ci stanno pro­met­tendo la cura deci­siva della riforma elet­to­rale e di nuove ele­zioni. Una nuova legge elet­to­rale è neces­sa­ria, e prima andiamo a votare e meglio è. Ma né l’una, né le altre ci rega­le­ranno la sini­stra che non c’è.
Per tor­nare al cen­tro della scena, per offrire pro­po­ste con­vin­centi, la sini­stra ha biso­gno di pro­se­guire il cam­mino sulla via mae­stra indi­cata il 12 otto­bre da Lan­dini e Rodotà nella piazza della demo­cra­zia costi­tu­zio­nale, nella pro­spet­tiva di una “coa­li­zione sociale”. Il segre­ta­rio Fiom fa bene a vedere le carte del nuovo “capo” del Pd, a chie­dere cosa c’è die­tro la sua pro­po­sta di un con­tratto nazio­nale con­tro la pre­ca­rietà. Met­tere in chiaro i con­te­nuti è il per­corso da com­piere per capire se siamo di fronte a mano­vre poli­ti­che di palazzo, a rispet­ta­bili stra­te­gie con­gres­suali (rot­ta­mare il gruppo diri­gente della Cgil dopo quello del Pd), o a uno snodo stra­te­gico degli assetti poli­tici, anche a sinistra.

  Intanto sta­sera il capo dello stato pro­nun­cerà il suo ottavo discorso a reti uni­fi­cate, men­tre sugli schermi della Rete un ex comico lo con­tra­sterà con la richie­sta di un impea­ch­ment, impra­ti­ca­bile secondo Costi­tu­zione, ma ugual­mente effi­cace nella piazza vir­tuale. Napo­li­tano repli­cherà le sue ricette anche se non hanno pro­dotto gli effetti pro­messi. E Grillo con­ti­nuerà a tirare la corda dell’esasperazione popu­li­sta. I son­daggi dicono che sia l’uno che l’altro per­dono con­sensi, anche se con­qui­sta punti l’idea dell’elezione diretta di un super-presidente.Nelle pros­sime set­ti­mane vedremo e capi­remo meglio. Però nono­stante il nero qua­dro di quest’anno tem­pe­stoso, con­ti­nue­remo a lavo­rare per un 2014 di cam­bia­mento o di pas­sag­gio verso il cam­bia­mento. Sarà un anno molto impor­tante anche per noi del mani­fe­sto. Fac­ciamo i migliori auguri a voi che ci leg­gete e ci soste­nete e anche a noi.

  Il pros­simo anno potrà essere dav­vero nuovo per la nostra storia."

  E qui la mia solita risposta, che finché non mi bannano, viene pubblicata in calce all'articolo nella nuova versione on line del quotidiano (almeno una cosa buona!).

  "-Nelle prossime settimane vedremo e capiremo meglio...-"

  Cantava Guccini:-Vedi cara è difficile a spiegare, è difficile capire se non hai capito già...-

  Il mio giornale si avvita sulle descrizioni di passetti tattici, sulle speranze di resipiscenze vane, sulle parole di questo o quel nano politico che non vede oltre il davanzale della finestrina di casa... o se vede è li per non dirci quel che vede.

  Cosa vedo io? Un enorme, colossale errore strategico della sinistra: pensare che un'unione volontaristica a base monetaria avrebbe portato ad un surrogato di internazionalismo proletario in presenza del solito pregnante internazionalismo del capitale.

  Un solo esempio: per far funzionare l'Eurozona come una federazione (più Europa) servirebbero trasferimenti massicci dalla Germania ai PIIGS, dell'ordine dell'8% del PIL tedesco, inaccettabili né per chi dovrebbe erogarli né per chi dovrebbe riceverli perché sarebbero in cambio di ulteriore cessione di sovranità. Per inciso ai bavaresi pesano i trasferimenti ai berlinesi, pensate ai calabresi o ai portoghesi!
Quest'idea di Europa è sbagliata dall'assunto: che esista un popolo europeo quando non esiste nemmeno un popolo tedesco, basta vedere come i wessie hanno trattato gli ossie, senza non solo solidarietà ma nemmeno misericordia (per chi crede).

  Il capitalismo tedesco sta facendo terra bruciata dell'economia dei partner ma anche delle loro istituzioni democratiche, ne è dimostrazione l'inguardabile degrado della nostra struttura di rappresentanza politica (ma anche di quella degli altri Paesi) e non serve incolpare il capo della destra, i capi della "sinistra" non han fatto di meglio, ma hanno avuto una stampa peggiore.

  Qual'è la strada maestra? Liberarsi di mitologie fuorvianti. Ripartire da quello che abbiamo, per ora: una Costituzione che è incompatibile con trattati europei che partano dall'assunto del controllo dell'inflazione a salvaguardia del capitale. La nostra legge fondamentale parte dal lavoro come obiettivo dello stato a salvaguardia della dignità dei cittadini.

  Aver creduto ad un'Europa pacificata per sempre sotto l'egida dei trattati è stata un'ingenuità all'inizio (o ignoranza dei processi elementari dell'economia), ora è colpevole ostinazione."


giovedì 26 dicembre 2013

Il trompe-l'œil

  Abbiamo occhi da cacciatore, vista stereoscopica, memoria fotografica.

  Questo ci aiuta a valutare l'attimo fuggente, il momento in cui scoccare il dardo.

  Altri animali, le prede, valutano meglio il movimento, hanno vista panoramica, alcuni hanno occhi compositi che trasformano il movimento continuo in scatti.

  Questo che c'entra? Il fatto è che la vista non è una cosa "meccanica", tipo telecamera, ma entra nel processo costitutivo delle immagini che è tutto del cervello.

  La nostra mente vede meglio i momenti che i processi. E questo ci frega perché ci pare di vivere in un perenne presente, immutabile e immutato.

  Dice: che ce ne cale il giorno di s. Stefano?

  Dobbiamo sforzarci di vedere l'andamento. Sono almeno tre anni che ci dicono che la ripresa è dietro l'angolo ma tutti gli indicatori economici, dal 2008, continuano ad essere in peggioramento; la nostra economia si sta spappolando, i risparmi consumando, gli investimenti dileguando; in condizioni normali la nostra moneta si deprezzerebbe aiutando l'economia a ripartire tramite esportazioni, invece la moneta (che non è nostra ma comune anche a paesi che stanno crescendo, o decrescendo meno di noi) si rivaluta rispetto a dollaro e yen, mentre i nostri salari si svalutano rispetto al nordeuropa per limitare le importazioni.

  Questo è un processo assolutamente anomalo che non si verifica in nessun altro luogo al mondo, ma a noi, coi nostri occhi mentali senza percezione del movimento, sembra che non possa andare che così, il punto fermo su cui fissiamo l'attenzione è un trompe-l'œil che ci inganna.

  Si chiama euro.

mercoledì 25 dicembre 2013

LA TREGUA

  Aerei persi, poltrone a due piazze, spose e fratelli; in TV la melassa cola appiccicosa. La bontà è d'obbligo.

  Fuori dal sogno è l'incubo di un'algida decomposizione: lavoro che manca, aziende che chiudono, merci estere che chiedono di essere comprate, con denaro straniero che manca...

  I collaborazionisti al governo ci parlano di ripresa: feticcio irraggiungibile in assenza di investimenti pubblici massicci. I tromboni prezzolati cercano di convincerci che non c'è alternativa: il mercato è quella cosa meravigliosa che, in perenne equilibrio, si regola da se; al suo interno ogni merce trova un valore incrociando domanda e offerta.

  Stranamente l'unico bene sottratto a questo millenario equilibrio è quello che, qui in eurozona, serve a denominare il valore delle cose: la moneta. Stando alle regole, ad economia forte dovrebbe corrispondere una moneta forte, da noi forti e deboli hanno lo stesso "passo" ma lunghezza di gambe diverse.

  Ma ci dicono che tutto andrà per il meglio quando avremo riacciuffato la ripresa, per ora incespichiamo rincorrendo una carota in cima ad un palo...

domenica 22 dicembre 2013

Nuovo corso al manifesto?

  Hanno capito che qualcosa non va ma non cosa.


  Di fronte ad un panorama di macerie, di promesse tradite, di tremors minacciosi ci si deve sforzare di capire. Gli aspetti sono tanti, le sensibilità svariate, i ripensamenti dolorosi.

  Nessuno in redazione arriva però alla cosa più semplice, più tecnica e meno politica: se dai a Paesi diversi la stessa moneta aumenti il divario e non lo diminuisci. Gli studi sull'argomento sono tanti e di ogni tendenza, segno che non si tratta di un'opinione, come la legge di gravità non lo è, ma, appunto di una legge economica; che può essere contraddetta a determinate condizioni che sono, queste si, politiche: vanno fatte delle scelte per graduare, mitigare o addirittura invertire quello che NATURALMENTE avverrebbe allo stato brado.

  Se a qualcuno interessa, la letteratura in proposito è ricca, suggerisco come ottima sintesi "Il tramonto dell'euro" di A. Bagnai.

  Ma per farla semplice basta un esempio: come mai ciclisti diversi usano rapporti diversi per fare lo stesso percorso? Perché il cambio è quell'artificio tecnico che STA FRA la forza esercitata dal ciclista, con le sue peculiari caratteristiche biochimiche, e il lavoro da compiere. A nessun direttore tecnico verrebbe in mente di dare alla sua squadra biciclette identiche, sarebbe un suicidio sportivo.

  Ogni Paese ha le sue caratteristiche, sociali, economiche, storiche.

  O li pialliamo.

  O li valorizziamo, ma non con la stessa moneta.

  

  

giovedì 12 dicembre 2013

LETTERA AL MANIFESTO (L'ENNESIMA)

  La transizione è stata traumatica, ancora rimpiango la carta; alla "vecchia"edizione on line mi ero adattato, ora non poter archiviare la copia giornaliera per rileggermela al riparo dalle bizze del mio collegamento ADSL (grazie telecom) mi crea qualche disagio; mi abituerò.

  Ma quello che conta è quello che trovo sul "mio" giornale, sono critico da almeno un anno e ve l'ho scritto più volte, purtroppo non c'è altro da leggere, ma non è il caso di accontentarsi. Siete sovente appiattiti sulla sinistra che c'è, anche se non è più sinistra (p.es. avete seguito la campagna elettorale di Bersani legittimandone un ruolo di leader che non ha), state facendo lo stesso con Renzi, dandogli una dignità politica degna di miglior causa. Il PD non è più un partito "salvabile", nonostante i tentativi di SEL, rendetevene conto e cambiamo pagina. Guardate con sospetto a Grillo e ai 5*, avete ragione, è un movimento composito, in cui convivono delle belle teste (poco influenti) e tante pance da vellicare in attesa di buttare la massa raccolta su una qualche bilancia, il che mi preoccupa molto. Date al sindacato lo spazio canonico senza sottolineare il suo ruolo conservatore di diritti che vanno diventando privilegi. Avete ultimissimamente scoperto le piazze anomale e annusato collegamenti, collusioni, direttive con logiche da questurini più che da sociologi (oggi però Viale mi smentisce, speriamo continui); certo sarebbe "bello" se gli scontenti scendessero in piazza cantando l'Internazionale dietro a rosse bandiere, inneggiando ai gloriosi leader del passato come facemmo noi nei '70 (in ogni caso servimmo a poco); così non è. Hanno perso fiducia nei partiti che da almeno tre decenni non hanno un programma autenticamente "di sinistra" ma si sono limitati a gestire la ritirata. E qui arriviamo al punto: capire che è successo. La nostra parte del mondo, l'Europa, ha rinunciato a Keynes, come il resto del mondo, sulla spinta delle teorie ultraliberiste di von Hayek, confidenzialmente reaganomics. Il capitale nel suo incessante inseguimento del saggio di profitto sta erodendo la base stessa della produzione metropolitana, con annessi salari. Qui da noi il fenomeno è stato realizzato grazie ad un artifizio monetario, l'euro, che ha distrutto l'autonomia del sistema politico che non ha più il controllo delle leve di politica economica essendo state delegate (scippate) altrove. Da qui il grido inquietante "Italia, Italia" delle piazze: il popolo SA che i nostri politici sono inutili, lo sa come sapeva Pasolini in un altro contesto, lui perchè era un intellettuale, i manifestanti perchè vivono il degrado sul loro essere. Cosa dovrebbe fare il "mio" giornale? Spiegarci che riconquistare il predominio della politica sull'economia è la condizione indispensabile per puntare nuovamente al socialismo, che le analisi usate sono rassicuranti ma inutili, che essere comunisti ma non capire le masse è come minimo sterile, che la macroeconomia è uno strumento da conoscere, esattamente come il ciclostile della mia giovinezza o internet di oggi, la macroeconomia ci aiuta a capire che ci sono cose che non possono NON conseguire a determinate premesse, che il potere economico ha determinato "al riparo dal processo elettorale", che ci sono responsabilità ingiustificabili.

  Fate chiarezza, anche a prezzo di dolorose autocritiche, o morremo tutti schiavi.