A lacrime ed inchiostro ancora fluenti, rischiando di annegarvi dentro, mi preme qualche considerazione.
Cosa ha trasformato una foto che propone un dramma quotidiano, diffuso ma spesso ignorato, nell'icona dell'orrore? Altre immagini, altrettanto se non più macabre provenienti da altri inferni, hanno a stento qualche visibilità, bisogna andarle a cercare.
Cosa distingue questa foto dalle altre? Sfidando dolore e pietà guardiamo quell'immagine. Cosa vediamo?
Il corpicino di un bimbo ben vestito che non presenta lesioni o mutilazioni, non è deturpato dalla violenza dell'acciaio o del piombo e nemmeno dai calcinacci. Gli abitini sono dignitosi, niente a che fare coi cenci sanguinolenti che ricoprono altri poveri corpi. Le scarpine, entrambe indossate, mostrano l'amore e la cura dei genitori e anche il loro tenore di vita. Quel bimbo potrebbe essere il figlio del vicino di ombrellone che ha smarrito la vita sulla battigia di Rimini o Viareggio. In quel bimbo ognuno può riconoscere i propri figli o nipoti, quindi è nostro. Se è nostro, maggiore è il dolore e la partecipazione. Il coinvolgimento emotivo annulla ogni altra considerazione. L'identificazione con la vittima è completa e questo porta con sé l'immedesimarsi acriticamente nel dramma dei fuggiaschi. Loro sono le vittime, noi stiamo bene e per questo dobbiamo accettarli scontando la nostra colpa di essere vivi e in salute.
Ma è cosi? Ogni vittima presuppone un carnefice il quale o è un bruto senza cervello o un boia prezzolato. Lasciamo stare i bruti, i boia chi li paga? Chi ha emesso una condanna contro questa e le altre vittime? Dove i patiboli? Quali le motivazioni della sentenza? Ma soprattutto è stata emessa in mio nome?
Quel bimbo ci assomiglia; ecco perché lui e non le altre migliaia di vittime è stato scelto per originare fiumi di lacrime e inchiostro.