domenica 17 maggio 2015

ASPETTANDO CRISTO LA TIGRE.

  Ieri sera in un bar del paese c'erano in programma vecchie canzoni milanesi cantasuonate da un ex compaesano.
  Il pubblico era progressista-chic. Eravamo in pochi a conoscere parole e musica: Della Mea, Gaber e Jannacci, da ragazzo li ascoltavo, erano gli anni '60. Canzoni che parlano di disperati, delinquenti o meno non ha importanza: chi è povero non ha speranza.
  Oggi sembra archeologia ma non lo è: basta sostituire il dialetto lombardo con qualche lingua esotica e i derelitti, delinquenti o meno, sono gli stessi... chissà se chi ascoltava avrà colto il nesso...
  Poi l'interprete è passato a cose più note, un paio di Guccini d'annata: La locomotiva e Un vecchio e un bambino.
  Qui le strofe ruffiane hanno preso il sopravvento; gli ultracinquantenni presenti intonavano commossi le note parole, musica in consonanza con le amate emozioni: la ribellione verbale, il gesto eclatante, il presente angusto, la rivincita ideale, il passato perduto.
  Questa è stata la messa laica. La riproposizione rituale dei miti fondanti, per ritrovare insieme i se stessi di allora... aspettando Cristo la tigre?
  I miei coetanei vivono un'inconsapevole sdoppiamento: si commuovono ai sogni del passato e vivono oggi in un inganno onirico; quei miti sono consolazioni, non programmi. Eppure non è impossibile accorgersi delle contraddizioni fra quel che gli dicono e quel che gli tocca vivere, basterebbe non cercare la risposta nel come credevamo di essere.
  Le informazioni necessarie sono disponibili, alcune gliele ho suggerite io. Ma incatenati alle domande di allora cercano oggi risposte impossibili.
  Sono convinti che, visto che allora si collocavano in qualche partito progressista, oggi quel partito, o un suo erede, sia ancora progressista.


 Senza saper usare gli strumenti per discernere il grano dal loglio sono inchiodati ad una memoria fallace.